Briggy Peacock
Briggy si svegliò tra lenzuola bianche almeno quanto la sua pelle. Aprì gli occhi su un soffitto che non le era familiare, circondata dall’aurea artificialmente luminosa di una piccola lampada che stava sul comodino accanto al letto. La stanza era quasi completamente al buio e Briggy Peacock intuì che le lenzuola erano bianche soltanto dopo una buona mezz’ora che aveva visto il soffitto. Non era riuscita a muovere gli occhi dai lembi delle bende che scorgeva contornarle la testa. Curiosità insistente e irrinunciabile. Speranza delusa di vedersi scendere le piume di pavone sulle spalle. Da subito, sparse in disordine sul cuscino.
Briggy Peacock circa sei mesi prima aveva preso la decisione di sottoporsi ad un esperimento di innesto genetico tra specie diverse rispondendo ad un annuncio della MBM -Masterpiece Body Modifications-. Rimase semplicemente affascinata dalle promesse. Rinunciando alla comprensione di ciascuna delle premesse che tutelavano in una casistica infinita soltanto la MBM.
Briggy non era mai stata niente di speciale e questa forse era l’unica cosa di cui era stata sempre consapevole. Una fanciulla pallida e trasparente in qualsiasi situazione. Anche a scuola gli insegnanti saltavano sempre il suo nome durante l'appello. Briggy aveva la sola speranza di acquistare visibilità, non era vanità. Avrebbe voluto che la gente si accorgesse del suo sorriso, per strada quando la folla corre e scorre come una stella filante nella metropoli, annodandosi sugli incroci, consumandosi nell’attesa del verde dei semafori, per poi ripartire spinta dal soffio violento della fretta.
Quando la luce entrata dalla finestra rese inutile quella ancora accesa sul comodino, spuntò la faccia di un’infermiera sullo sfondo del soffitto. E l’infermiera disse: «Tutto a posto, signorina. L’innesto è riuscito perfettamente». Briggy Peacock sorrise a quella faccia. E quella faccia sorrise a lei. «Tutto a posto. L’innesto è riuscito perfettamente» ripeté Briggy con un sussurro bruciato dal troppo silenzio e dall’anestesia.
Il giorno in cui le tolsero le bende davanti allo specchio Briggy pianse di commozione. Adesso chiamarsi Peacock acquistava di preziosità. Passò la prima giornata passeggiando, facendo finta di non vedere la gente che si voltava a guardarla, facendo finta di essere da sempre così. Anzi, di essere appena nata. E quando scese la notte entrò in una pensioncina e prese una camera per il piacere di registrarsi fra gli ospiti. Scandendo bene P-E-A-C-O-C-K al momento della registrazione e gustandosi più del dovuto la faccia del ragazzo che stava dietro al bancone. Come una bambina che assapora il primo gelato.
Poi, con calma, accadde l’imprevisto. Entrata nella piccola camera si tolse le scarpe, restando a piedi nudi. Non si accorse subito dell’intonaco rigonfio sui muri, né della moquette scollata dal pavimento che si arricciva negli angoli della stanza. Briggy era assurdamente felice, in piedi davanti allo specchio fissato all’anta dell’armadio. Le sue dita passavano delicatamente tra le piume di pavone. La sua immagine le sorrideva. Non si può dire quanto tempo Briggy restò così.
Poi, sentì qualcosa che le saliva sul metatarso. Abbassando gli occhi vide una blatta grassa e nera. E alzandoli di nuovo sullo specchio, vide la sua prima ruota. Era incoronata dalle sue piume. Non le uscì alcun grido, spalancò la bocca in urlo muto. Edward Munch non avrebbe saputo dipingerla meglio.
La mattina dopo tornò alla MBM dove nessuno sembrava ricordarsi di lei, nonostante le piume. Tornata per strada prese una direzione qualsiasi. Cercando consolazione in se stessa, sentendo gli sguardi del giorno prima su un’altra frequenza. Il giorno prima non aveva compreso che era sospetto quello che gli occhi della gente le calavano addosso. E la gente sembrava non sorriderle più. La gente ghignava.
Non era se stessa che quel giorno avrebbe dovuto provare a cambiare. Da cambiare era il mondo. Ma l’aveva capito troppo tardi. Questa era una missione che avrebbe voluto tentare, ma non avrebbe mai saputo tentare da sola. «Si tratta soltanto di trovare la compagnia giusta» disse a se stessa dopo un po’ che ci pensava. E senza preoccuparsi troppo del tempo che le sarebbe stato necessario, si mise a cercarla.
Briggy è un'amica immaginaria, ma le sue parole suonano nella mia testa come se non fossero immaginazione.
Riesco a sentirla anche quando cammino per strada con le cuffie agli orecchi.
La sento molto più spesso della gente di questo stesso mio paese.
Che parla da mesi senza dire niente.
Briggy Peacock circa sei mesi prima aveva preso la decisione di sottoporsi ad un esperimento di innesto genetico tra specie diverse rispondendo ad un annuncio della MBM -Masterpiece Body Modifications-. Rimase semplicemente affascinata dalle promesse. Rinunciando alla comprensione di ciascuna delle premesse che tutelavano in una casistica infinita soltanto la MBM.
Briggy non era mai stata niente di speciale e questa forse era l’unica cosa di cui era stata sempre consapevole. Una fanciulla pallida e trasparente in qualsiasi situazione. Anche a scuola gli insegnanti saltavano sempre il suo nome durante l'appello. Briggy aveva la sola speranza di acquistare visibilità, non era vanità. Avrebbe voluto che la gente si accorgesse del suo sorriso, per strada quando la folla corre e scorre come una stella filante nella metropoli, annodandosi sugli incroci, consumandosi nell’attesa del verde dei semafori, per poi ripartire spinta dal soffio violento della fretta.
Quando la luce entrata dalla finestra rese inutile quella ancora accesa sul comodino, spuntò la faccia di un’infermiera sullo sfondo del soffitto. E l’infermiera disse: «Tutto a posto, signorina. L’innesto è riuscito perfettamente». Briggy Peacock sorrise a quella faccia. E quella faccia sorrise a lei. «Tutto a posto. L’innesto è riuscito perfettamente» ripeté Briggy con un sussurro bruciato dal troppo silenzio e dall’anestesia.
Il giorno in cui le tolsero le bende davanti allo specchio Briggy pianse di commozione. Adesso chiamarsi Peacock acquistava di preziosità. Passò la prima giornata passeggiando, facendo finta di non vedere la gente che si voltava a guardarla, facendo finta di essere da sempre così. Anzi, di essere appena nata. E quando scese la notte entrò in una pensioncina e prese una camera per il piacere di registrarsi fra gli ospiti. Scandendo bene P-E-A-C-O-C-K al momento della registrazione e gustandosi più del dovuto la faccia del ragazzo che stava dietro al bancone. Come una bambina che assapora il primo gelato.
Poi, con calma, accadde l’imprevisto. Entrata nella piccola camera si tolse le scarpe, restando a piedi nudi. Non si accorse subito dell’intonaco rigonfio sui muri, né della moquette scollata dal pavimento che si arricciva negli angoli della stanza. Briggy era assurdamente felice, in piedi davanti allo specchio fissato all’anta dell’armadio. Le sue dita passavano delicatamente tra le piume di pavone. La sua immagine le sorrideva. Non si può dire quanto tempo Briggy restò così.
Poi, sentì qualcosa che le saliva sul metatarso. Abbassando gli occhi vide una blatta grassa e nera. E alzandoli di nuovo sullo specchio, vide la sua prima ruota. Era incoronata dalle sue piume. Non le uscì alcun grido, spalancò la bocca in urlo muto. Edward Munch non avrebbe saputo dipingerla meglio.
La mattina dopo tornò alla MBM dove nessuno sembrava ricordarsi di lei, nonostante le piume. Tornata per strada prese una direzione qualsiasi. Cercando consolazione in se stessa, sentendo gli sguardi del giorno prima su un’altra frequenza. Il giorno prima non aveva compreso che era sospetto quello che gli occhi della gente le calavano addosso. E la gente sembrava non sorriderle più. La gente ghignava.
Non era se stessa che quel giorno avrebbe dovuto provare a cambiare. Da cambiare era il mondo. Ma l’aveva capito troppo tardi. Questa era una missione che avrebbe voluto tentare, ma non avrebbe mai saputo tentare da sola. «Si tratta soltanto di trovare la compagnia giusta» disse a se stessa dopo un po’ che ci pensava. E senza preoccuparsi troppo del tempo che le sarebbe stato necessario, si mise a cercarla.
Briggy è un'amica immaginaria, ma le sue parole suonano nella mia testa come se non fossero immaginazione.
Riesco a sentirla anche quando cammino per strada con le cuffie agli orecchi.
La sento molto più spesso della gente di questo stesso mio paese.
Che parla da mesi senza dire niente.
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