Nessun mostro stanotte
Tra il branco spiccava un piccolo lupacchiotto, in apparenza uguale ai suoi simili.
Stesso pelo grigio, stessi occhi gialli, stesso ululato. Stessa solitudine.
A guardar bene, qualche sottile differenza si coglieva facilmente.
Mentre tutti i suoi compagni andavano a caccia, lui...lui rimaneva da solo, e si perdeva a osservare i dolci colori di un tramonto, o i canti di uccelli lontani.
Nel suo animo, chissà per quale errore, non albergava lo spirito di un lupo.
Ne aveva solo l'ingombrante aspetto.
E spesso lo vestiva così bene, che sembrava uno dei tanti.
Aveva uno strano dono, se così si può chiamare, il dono di leggere le anime altrui e di cogliere le loro sfumature.
Per questo, nella sua solitudine non era mai solo davvero, che i mille echi che gli rimbombavano i testa erano una ben nutrita compagnia.
E lui ascoltava, e cercava risposte alle domande, o domande alle risposte, senza mai capire.
Coltivando il senso di inutilità di quel suo essere.
Finché un giorno, come un telo che cade, il lupo seppe.
Seppe ascoltare il saluto di chi se ne era andato senza volerlo. In un addio silenzioso.
E afferrò la mano che asciugò le lacrime.
E lasciò che il dolore si sciogliesse in dolce malinconia.
Sweet sweet pain. Lily era sciolta come un zolletta nel mondo del caffè bollente. Forse per questo era ancora sveglia? Per la dolce dolorosa malinconia che la scioglieva, per tutto quel caffè che da giorni aveva preso il posto del sangue e che scorreva a litri dentro di lei con lo stesso scopo del sangue. Per tenerla viva. Per non farla addormentare, perché il sonno le faceva paura. Ora sapeva che il sonno poteva portare la morte. Quella vera. Non quella apparente, da cui ci si risveglia. Il sonno ristoratore di cui aveva bisogno aveva a sua volta bisogno di qualcosa che lo facesse arrivare da Lily, per carezzarle la testa meglio di quanto avrebbero potuto fare i ragni e la Luna. Il buon sonno aveva bisogno di una storia. Un preludio alla buonanotte che la rendesse immune dai mostri che abitavano sotto il letto.
Lily era sveglia per ascoltare quel lupacchiotto dallo sguardo incantato, affascinato incomprensibilemente dal mondo. Forse più comprensibilmente dalla natura. Ora curioso del suo prato in cui fiutava solo la sua presenza e quella dei ragni nelle tane appena sottoterra.
Lily e il lupacchiotto si guardarono negli occhi, mentre lui le afferrava la mano dolcemente con la bocca, pungendola soltanto perché i denti di latte sono piccoli spilli destinati a cadere più rapidi delle foglie, che resistono ben due stagioni sui rami. Il lupacchiotto vide che gli occhi di Lily avevano bisogno di chiudersi e sognare. Comprese, perché lui ne era capace, che Lily aveva bisogno di una storia. Con una voce giovane, ma che sapeva esattamente da che parte cominciare, iniziò la sua storia. Mentre Lily già gli sorrideva.
Cosa cantano i mostri sotto il letto? Ascolta.
Cosa cantano i mostri sotto il letto? Non far finta di non sentire.
Ascolta.
Se ascolti la tua paura, mostri e paura spariranno.
C'era un piccolo gufo che volava ogni notte sul ramo del ciliegio che delimita a est il confine del bosco. Era un piccolo gufo pauroso. Temeva il vento che faceva sussurrare le foglie. Temeva la luce della luna che rischiarava la radura lì davanti. Temeva il canto incomprensibile degli altri uccelli notturni. Temeva le finestre illuminate della casa lontana trecento passi dal ciliegio. Temeva tutto quello che non riusciva a spiegarsi. E pensava che il mondo oltre il ciliegio fosse abitato da mostri. E forse lo era. Ma i mostri che c'erano non erano quelli che il gufo credeva. E c'era qualcosa che il gufo non temeva. C'era qualcosa di cui il gufo aveva paura. Ed erano due occhi che correvano, gialli e poi rossi, in un rombo terribile che li accompagnava. Il piccolo gufo sentiva il cuore in gola e se ci fosse riuscito sarebbe scappato, quando il tuono cominciava lontano, poi sempre più vicino. Ma non riusciva a scappare, restava immobile e senza respiro com'era suo nonno dopo essere stato impagliato. Chiudeva gli occhi non appena apparivano gli occhi gialli, per poi riaprirli quando, rossi, si allontanavano. Poi, una notte. Le foglie sussurravano leggere e celavano al piccolo gufo la vista delle stelle che cadevano nel cielo. Canti indecifrabili riempivano l'aria calda di una notte di piena estate. Le finestre a trecento passi dal ciliegio non avevano luce da una settimana. Il mostro arrivò, ma placò il suo tuono prima del solito. Il gufo aprì gli occhi e vide due creature che raggiunsero la radura illuminata dalla luna. Si sdraiarono sotto lo spettacolo del cielo, il volto rivolto verso l'alto. Il mostro le aveva partorite e adesso faceva silenzio. I due figli del mostro iniziarono a cantare mentre il piccolo gufo le guardava fisso, come solo i gufi sanno fare. Il canto era dolce e malinconico. Se il gufo avesse saputo cos'era, avrebbe pensato che il loro canto raccontasse l'amore. Quel canto coprì le voci degli uccelli notturni. Il piccolo gufo aveva ora meno paura. Non temeva il mostro che aveva chiuso i suoi occhi gialli. Le finestre erano spente. Le foglie fecero silenzio. La luce della radura gli permise soltanto di vedere quelle creature a pochi passi da lui. E a sentirsi meno solo. Il canto lo avvicinò al buon sonno, mentre arrivava l'alba. Volò via, promettendosi di avventurarsi oltre la notte seguente. Non aveva più paura dei mostri che credeva abitassero oltre il ciliegio. Che, visti da vicino, forse mostri non erano.
Se ascolti la tua paura, mostri e paura spariranno.
Lily dormiva. Gli occhi chiusi senza lacrime. La mano umida. Asciugata dal lupo, che l'aveva accarezzata con leggere testate, quando lei aveva cominciato a sognare, alla fine della storia.
Sweet sweet pain. Sweet sweet dreams, little Lily.
Questo cantano i sogni. Sopra il letto Lily riposa.
Stesso pelo grigio, stessi occhi gialli, stesso ululato. Stessa solitudine.
A guardar bene, qualche sottile differenza si coglieva facilmente.
Mentre tutti i suoi compagni andavano a caccia, lui...lui rimaneva da solo, e si perdeva a osservare i dolci colori di un tramonto, o i canti di uccelli lontani.
Nel suo animo, chissà per quale errore, non albergava lo spirito di un lupo.
Ne aveva solo l'ingombrante aspetto.
E spesso lo vestiva così bene, che sembrava uno dei tanti.
Aveva uno strano dono, se così si può chiamare, il dono di leggere le anime altrui e di cogliere le loro sfumature.
Per questo, nella sua solitudine non era mai solo davvero, che i mille echi che gli rimbombavano i testa erano una ben nutrita compagnia.
E lui ascoltava, e cercava risposte alle domande, o domande alle risposte, senza mai capire.
Coltivando il senso di inutilità di quel suo essere.
Finché un giorno, come un telo che cade, il lupo seppe.
Seppe ascoltare il saluto di chi se ne era andato senza volerlo. In un addio silenzioso.
E afferrò la mano che asciugò le lacrime.
E lasciò che il dolore si sciogliesse in dolce malinconia.
Sweet sweet pain. Lily era sciolta come un zolletta nel mondo del caffè bollente. Forse per questo era ancora sveglia? Per la dolce dolorosa malinconia che la scioglieva, per tutto quel caffè che da giorni aveva preso il posto del sangue e che scorreva a litri dentro di lei con lo stesso scopo del sangue. Per tenerla viva. Per non farla addormentare, perché il sonno le faceva paura. Ora sapeva che il sonno poteva portare la morte. Quella vera. Non quella apparente, da cui ci si risveglia. Il sonno ristoratore di cui aveva bisogno aveva a sua volta bisogno di qualcosa che lo facesse arrivare da Lily, per carezzarle la testa meglio di quanto avrebbero potuto fare i ragni e la Luna. Il buon sonno aveva bisogno di una storia. Un preludio alla buonanotte che la rendesse immune dai mostri che abitavano sotto il letto.
Lily era sveglia per ascoltare quel lupacchiotto dallo sguardo incantato, affascinato incomprensibilemente dal mondo. Forse più comprensibilmente dalla natura. Ora curioso del suo prato in cui fiutava solo la sua presenza e quella dei ragni nelle tane appena sottoterra.
Lily e il lupacchiotto si guardarono negli occhi, mentre lui le afferrava la mano dolcemente con la bocca, pungendola soltanto perché i denti di latte sono piccoli spilli destinati a cadere più rapidi delle foglie, che resistono ben due stagioni sui rami. Il lupacchiotto vide che gli occhi di Lily avevano bisogno di chiudersi e sognare. Comprese, perché lui ne era capace, che Lily aveva bisogno di una storia. Con una voce giovane, ma che sapeva esattamente da che parte cominciare, iniziò la sua storia. Mentre Lily già gli sorrideva.
Cosa cantano i mostri sotto il letto? Ascolta.
Cosa cantano i mostri sotto il letto? Non far finta di non sentire.
Ascolta.
Se ascolti la tua paura, mostri e paura spariranno.
C'era un piccolo gufo che volava ogni notte sul ramo del ciliegio che delimita a est il confine del bosco. Era un piccolo gufo pauroso. Temeva il vento che faceva sussurrare le foglie. Temeva la luce della luna che rischiarava la radura lì davanti. Temeva il canto incomprensibile degli altri uccelli notturni. Temeva le finestre illuminate della casa lontana trecento passi dal ciliegio. Temeva tutto quello che non riusciva a spiegarsi. E pensava che il mondo oltre il ciliegio fosse abitato da mostri. E forse lo era. Ma i mostri che c'erano non erano quelli che il gufo credeva. E c'era qualcosa che il gufo non temeva. C'era qualcosa di cui il gufo aveva paura. Ed erano due occhi che correvano, gialli e poi rossi, in un rombo terribile che li accompagnava. Il piccolo gufo sentiva il cuore in gola e se ci fosse riuscito sarebbe scappato, quando il tuono cominciava lontano, poi sempre più vicino. Ma non riusciva a scappare, restava immobile e senza respiro com'era suo nonno dopo essere stato impagliato. Chiudeva gli occhi non appena apparivano gli occhi gialli, per poi riaprirli quando, rossi, si allontanavano. Poi, una notte. Le foglie sussurravano leggere e celavano al piccolo gufo la vista delle stelle che cadevano nel cielo. Canti indecifrabili riempivano l'aria calda di una notte di piena estate. Le finestre a trecento passi dal ciliegio non avevano luce da una settimana. Il mostro arrivò, ma placò il suo tuono prima del solito. Il gufo aprì gli occhi e vide due creature che raggiunsero la radura illuminata dalla luna. Si sdraiarono sotto lo spettacolo del cielo, il volto rivolto verso l'alto. Il mostro le aveva partorite e adesso faceva silenzio. I due figli del mostro iniziarono a cantare mentre il piccolo gufo le guardava fisso, come solo i gufi sanno fare. Il canto era dolce e malinconico. Se il gufo avesse saputo cos'era, avrebbe pensato che il loro canto raccontasse l'amore. Quel canto coprì le voci degli uccelli notturni. Il piccolo gufo aveva ora meno paura. Non temeva il mostro che aveva chiuso i suoi occhi gialli. Le finestre erano spente. Le foglie fecero silenzio. La luce della radura gli permise soltanto di vedere quelle creature a pochi passi da lui. E a sentirsi meno solo. Il canto lo avvicinò al buon sonno, mentre arrivava l'alba. Volò via, promettendosi di avventurarsi oltre la notte seguente. Non aveva più paura dei mostri che credeva abitassero oltre il ciliegio. Che, visti da vicino, forse mostri non erano.
Se ascolti la tua paura, mostri e paura spariranno.
Lily dormiva. Gli occhi chiusi senza lacrime. La mano umida. Asciugata dal lupo, che l'aveva accarezzata con leggere testate, quando lei aveva cominciato a sognare, alla fine della storia.
Sweet sweet pain. Sweet sweet dreams, little Lily.
Questo cantano i sogni. Sopra il letto Lily riposa.
2 Comments:
Dormi cara Lily, dormi...
Ciao
Ho avuto un casino di cose da fare Briggy ma sei stata sempre nei miei pensieri...un bacione amiga
Post a Comment
<< Home