Friday, June 19, 2009

Un anno di Birra

Manca un giorno e sarà un anno che Birra vive con me :)

Albaluna

E a Lily apparve una storia che girava intorno a un filo che pareva intrecciato ad un lontano ricordo, come quando si fanno nodi ai fazzoletti o ci si lega un piccolo pezzo di spago ad un dito per non scordarsi di qualcosa. Di qualcuno. E la storia che si sciolse davanti agli occhi di Lily si raccontava così:

Era l'ora del crepuscolo. La luce e il buio si incontravano su una linea di confine che dava l’impressione d’essere un territorio più vasto; un’intersezione dove le caratteristiche non si fondono. Come nei quadri di Caravaggio. Ci sono creature che vivono solo di notte e si dicono animali notturni. Altre creature vivono, invece, solo di giorno e dormono di notte per recuperare energia vitale, chi con la testa sul cuscino, chi con il capo sotto l’ala, chi come può. Ci sono poi strani esseri della cui esistenza ci si accorge solo al crepuscolo, strani ibridi di creature diurne-notturne in cui le caratteristiche non si legano e che restano agli occhi di tutti, prevalentemente, strani esseri. Lei usciva quando il giardino di casa cominciava a coprirsi di una luce polverosa che trasformava velocemente i fiori e le cose in qualcosa dal contorno sempre meno definito, ombre tridimensionali sempre più scure.
Lei era un drappo di seta chiara che il sole ingiallisce e consuma. Lei aveva dentro di sé un'armonia che nessuno poteva ascoltare, come uno spartito senza chiave musicale. Lei era un dipinto dai mille colori in una stanza buia. Lei aveva un nome che portava come il titolo di una storia. Si chiamava Albaluna.
Albaluna era una bambina dai capelli del colore dell'alba, la pelle chiara del volto era fine e trasparente; era una bambola di carta velina, una bambola fragile con cui non gioca nessuno per la paura che possa frantumarsi al primo tocco, trasformandosi in mille coriandoli che anche un vento leggero potrebbe portare lontano. Gli occhi avevano il colore di una lacrima che riflette il cielo e il leggero strabismo era ben nascosto da ciglia bianche e folte.
La stanza dove Albaluna passava gran parte del giorno aveva una finestra che veniva aperta soltanto quando la bambina era altrove; la luce in sua presenza aveva un'origine esclusivamente artificiale e si diffondeva tenue dalle tante lampade che la nonna aveva cominciato a collezionare da quando Albaluna era stata riconosciuta fotofobica. La nonna di Albaluna aveva avuto una sorella albina che quando usciva doveva coprirsi per difendersi dalla luce del sole con grandi occhiali scuri e che l'intero paese, piuttosto piccolo in qualunque direzione lo si percorresse, aveva preso ben presto a additare come fosse un fenomeno da baraccone. Così Albaluna, che era stata affidata alla nonna fin dalla nascita per una lunga serie di sfortunati eventi, era stata cresciuta e custodita fra le mura di casa, in quelle stanze dove il sole non entrava da anni per più di mezz'ora al giorno e luce era fatta solo grazie agli interruttori.
Albaluna riceveva l’unica visita di una maestra che nel pomeriggio andava a trovarla per seguire la sua istruzione e, è facile fare il conto, la maestra era l'unica persona che Albaluna conosceva oltre alla nonna e a qualche vecchia zia. Albaluna non aveva mai visto bambini e guardandosi allo specchio si era fatta la strana idea che la razza umana cambiasse colore crescendo, che i bambini fossero piccoli frutti acerbi e che, passato il tempo necessario alla maturazione, anche lei da grande avrebbe avuto lunghi capelli castani come quelli della maestra. Nessuno si era mai preso il compito di toglierle questa convinzione, neppure la maestra, nessuno le aveva mai raccontato la realtà della faccenda, dicendole che i bambini non maturano e che la specie umana non ha un unico colore. Che i bambini, gli uomini e le donne sono tutti uguali solo in quanto bambini, uomini e donne. Che l'uguaglianza si misura sulla parità e sul rispetto dei diritti e della dignità e che il colore è solo un elemento che arricchisce la bellezza della natura. Che la luce, poi, non dovrebbe far paura a nessuno, poiché la luce è bellezza perché contiene tutti i colori del mondo. Che anche l'alba e la luna hanno un colore e una luce e che anche lei, Albaluna, aveva il suo e che per nessun motivo al mondo avrebbe dovuto sperare di cambiarlo.
Poi un giorno accadde che, all'arrivo della maestra, Albaluna vedesse qualcosa di più piccolo che la seguiva nel corridoio, mentre la donna proseguiva per andare incontro ai saluti della nonna, superando la stanza delle luci in alabastro dove lei l'aspettava. Qualcosa di più piccolo si fermò sull'entrata della stanza e guardò Albaluna dritto negli occhi e con la bocca spalancata di un pesciolino fuori dall'acqua sputò fuori una vocina bassa da paura che si alzò soltanto sull'ultima parola: «E tu chi sei, un FANTASMA?». Albaluna gli fece quasi coro «E tu chi sei?», già rispondendo a se stessa tra mille pensieri che forse quello era un adulto molto piccolo o un bambino che aveva già cambiato colore. Due pesciolini si erano incontrati fuori dall'acqua, perché acqua, lì nella stanza delle luci in alabastro, non c'era. «Mi chiamo Bruno e sono un bambino», disse lui. «Io sono Albaluna», disse lei un po' di tempo dopo. Giusto il tempo che un pesciolino impiega per imparare a parlare. Bruno se ne andò presto insieme alla maestra, che quel giorno neppure fece la sua lezione. La nonna li accompagnò alla porta e quando tornò nella stanza Albaluna pensò che fuori doveva fare un gran freddo, perché la nonna tremava. La lezione della maestra non c'era stata, o forse sì. Albaluna ora sapeva che esistevano bambini di un altro colore e che era bello guardarsi negli occhi tra bambini, perché sembra di capirsi senza dire niente. Dopo quella sera, la maestra tornò, ma sempre da sola. E Albaluna da allora pensava spesso a Bruno e gli parlava come se avesse accanto un amico invisibile, ma non immaginario. Bruno era un amico invisibile lì nelle stanze della grande casa della nonna, ma per renderlo visibile, pensò un giorno Albaluna, non si doveva poi andare troppo lontano.
Era dunque l'ora del crepuscolo e Albaluna imboccò il corridoio buio fino al portone che si apriva sul giardino. Fu la nonna ad aprirle la porta. Le ombre scese da poco sul giardino avevano aperto la finestra ai suoi profumi, Albaluna salutò le rose che il caldo della giornata aveva sgualcito e poi uscì dal cancello, che non aveva mai varcato da sola prima di allora.
«Andiamo, Bruno non deve essere troppo lontano da qui», disse Albaluna a se stessa come un’esploratrice che deve trovare il coraggio di fare il primo passo verso un luogo sconosciuto in cui però è sicura di trovare un grande tesoro. La strada verso il paese era dritta e costeggiava il bosco, quando cominciò a calare il buio Albaluna si accorse che il coraggio restava qualche passo indietro. La notte che ormai riempiva tutto quello che le stava intorno, poiché intorno tutto era nero e irriconoscibile nell'assenza di luce, la faceva procedere con cautela. E la faceva pensare. Era una notte senza luna e le stelle erano troppo lontane per illuminarle ogni mondo, esterno o interiore che fosse. Eppure, se qualcuno avesse potuto essere lì per vederla, si sarebbe accorto che Albaluna aveva una luce propria, era un'ombra più chiara sul bordo dell'asfalto e gli occhi le brillavano come se due stelle da lassù le fossero scese sul viso, tra la fronte e le guance, ai lati del naso. Da qualche parte doveva esserci la strada che percorrono le macchine, dove di notte si snodano e si annodano lunghe stelle filanti di fari soffiate dalla velocità. La strada, dove c'erano le luci colorate delle insegne dei negozi che ti chiamano a mangiare i gelati, a comprarti scarpe e abiti nuovi, a entrare nei cinema e a trovare il rumore di tazze e bicchieri nei bar. Anche la casa di Bruno doveva avere una luce che l'avrebbe chiamata ad entrare. Una luce da sbirciare dalla finestra, la luce di una famiglia che consuma la cena intorno a un tavolo mentre in un angolo brilla una tv accesa. La luce di una maestra in pantofole che legge un libro e di Bruno che gioca sul divano. Una luce che si spegne solo prima di dormire. Invece, Albaluna adesso sentiva la luce di un cuore sempre più piccolo che batteva forte, una luce debole, lontana quasi quanto le stelle. Dentro di lei scorreva, più che il sangue, la paura.
Il malessere che il buio le dava era diverso dal dolore fisico che le procurava la luce abbagliante del giorno. Era il malessere dell’ignoto. La luce dona visibilità. La luce fa conoscenza. Se ci fosse stato anche soltanto il chiarore della luna a illuminare il suo cammino, Albaluna non avrebbe perso la determinazione che sentiva quando era uscita. Ora, invece, si chiedeva «Dove sto andando», «Quanto è lontano Bruno da qui», «Quanto dovrò camminare ancora» e, infine, «Perché non sono rimasta nel mio giardino?» e «Perché non mi è bastato stare da sola con le rose?».
D’un tratto, quasi per incanto, sembrò che scendesse una stella dal cielo per arrivare davanti al naso di Albaluna. Ma non era una stella. Era una lucciola, che Albaluna cominciò a seguire quasi correndo, infine correndo e ridendo insieme al suo cuore che non batteva più di paura. E la lucciola fu la sua guida, prima verso la strada dove si rincorrevano i fari e le insegne coloravano finalmente la notte, che non era più buia, poi verso una casa che aveva l’entrata illuminata e una luce da sbirciare dalla finestra, la luce di una famiglia che consuma la cena intorno a un tavolo mentre in un angolo brilla una tv accesa. La luce di una maestra in pantofole che legge un libro e di Bruno che gioca sul divano.
C’era anche il nome della maestra nella luce bianca del campanello che Albaluna arrivò a suonare mettendosi in punta di piedi. Quando la porta si aprì, l’accolsero stupore e abbracci. E quando la luce si spense, nella camera di Bruno, si accese un soffitto di stelle fosforescenti molto più vicine di quelle che stavano fuori nel cielo. Era arrivata l’ora di dormire e di accendere la luce bellissima dei sogni di due bambini che non avrebbero smesso di giocare insieme mai più, lì sotto le stelle fosforescenti o nella stanza delle luci d’alabastro a casa di Albaluna. Non avrebbero smesso di giocare neppure ad occhi chiusi nel buio della notte.


Poi Lily calò come la luna in un pozzo e tornò invisibile. Non si sa per quanto.