Friday, November 24, 2006

La pagina bianca

E il Mistral soffiò sull'alibro, le pagine si sfogliarono con la velocità delle onde del mare impetuoso. Lily si sentì sollevare, ma il suo volo non prese alcuna direzione e restò sospesa nell'aria. Si sentì come un viandante derubato della sua bussola. Capì che ritrovare il suo nord sarebbe stata dura impresa. Cosa le stava succedendo? Era completamente disorientata. Accanto a lei passò una farfalla che si accorse del suo smarrimento. Lily aveva già il viso rigato dalle lacrime e la farfalla non potè che imitarla, e fu nelle lacrime della farfalla che Lily vide riflesso l'Alibro... che si era fermato su una pagina bianca.
E quella pagina bianca sarebbe potuta sembrare lo specchio della sua desolazione, il simbolo del suo disorientamento. Invece era il riflesso di una lacrima. Insomma, era quasi un'illusione. 'Quasi' perché non lo era fino in fondo. Infine, esisteva almeno una possibilità che l'Alibro fosse aperto davvero su una pagina bianca. Lily avrebbe voluto girare su stessa e trovarsi l'Alibro sulla pancia, per poter controllare. Come se l'Alibro fosse il Sole e Lily la Terra, in un moto di rivoluzione. Lily voleva poter far scorrere il dito medio, dei tre che aveva, e disegnare con l'unghia la Rosa dei Venti, perché le facesse ritrovare con l'immaginazione, almeno in quello spazio candido e bidimensionale, la posizione del Nord. Da lì avrebbe potuto ritovare ogni altro suo riferimento. Perché Lily si era smarrita e aveva almeno una possibilità di avere una coppia di pagine bianche alle spalle, per essere precisi. Non era una bella situazione. Si sentiva come chi non ha passato, o piuttosto come chi l'ha scordato. Come se le storie dei suoi giorni d'improvviso non ci fossero più. Si sentiva come uno smemorato. E come uno smemorato si fece la forza di ricominciare. Ricominciare non 'da capo' (che avrebbe potuto scoraggiarla, come se tutto si dovesse ripetere così com'era già stato), ma ex-novo (che la entusiasmava perché non aveva timore dell'incertezza e sperava che la novità avesse significato di miglioramento, grazie all'esperienza che comunque si era fatta e che doveva essere rimasta, anche se silenziosa e inconscia, dentro di lei).
Lily chiuse gli occhi e cominciò a immaginare che i sogni si potessero avverare. I sogni avverati avevano il profumo della rosa canina, dei fiori bianchi, dei fiori rossi, gialli, azzurri e arancio. Non c'erano fiori viola. Perché i fiori viola hanno il profumo della delusione. Lily sentiva la leggerezza del volo pur avendo i piedi per terra. Sentiva il calore del sole e le carezze fresche della luna. C'era una paperella rossa che giocava a tuffarsi da un arcobaleno in uno stagno di cioccolato. C'era una Gocciolina che scivolava sul vetro della finestra di una casa, curiosa di sbirciare una bambina di nome Margherita che stava leggendo la strofa della B:

Briciole di biscotti
batuffoli e bambolotti
bella è la bambina bionda e birichina.
Bianco è il biancospino
blu il berrettino
bella è la bambina bionda e birichina.
Béccati un bacio
un bacio buttato
bella bambina bionda e birichina!

C'era poi un fuoco che bruciava soltanto se stesso e illuminava il tramonto con la luce della verità. E c'erano due gatti che sapevano cos'era l'indipendenza e girovagavano felici di essere padroni del mondo senza essere i padroni di nessuno.
Quando Lily aprì gli occhi sul prato erano spuntati fiori di tutti i colori e accanto a lei c'era un cespuglio di rose selvatiche. Forse i sogni si erano avverati per sempre. O forse sarebbero durati soltanto un giorno. Lily non avrebbe saputo ancora indicare precisamente la posizione del Nord. Ma poco importava, perché tutto sembrava essere ricominciato lì nel suo mondo.
E decise che il Nord aveva la direzione che indicava il suo ciuffo. E il Sud era sotto le suole delle sue scarpe. Se avesse invece allargato le braccia, avrebbe trovato tra le sue mani Est e Ovest, uno alla sua sinistra, l'altro alla sua destra.
Ed era sicura che così non si sarebbe mai più persa. Perché aveva in sé tutte le direzioni di cui aveva bisogno.

Neppure il buio della notte che stava arrivando può farle più perdere la bussola. E arriveranno nuove storie, Lily ne è certa... perché sa che voi gliele racconterete... perché le volete bene...

Saturday, November 18, 2006

Ombre e pioggia su Lily


Il sole abbandonò il cielo sopra l'asfalto. Di fretta, quando ancora non era il suo tempo. L'asfalto era ovunque, ora che le nubi, arrivate veloci con la spinta della burrasca, come in un mosaico componevano il cielo. Lily era dentro un'ombra che sembrava il crepuscolo, immobile e arresa alla consueta malattia, di cui aspettava il crescendo dei sintomi quasi con pazienza. E l'ombra sembrava quasi la notte, ogni minuto di più, mangiando le cose con foga e vomitando buio sul prato dove Lily era rannicchiata. L'ombra era una benda da cui Lily poteva soltanto sbirciare. E Lily vide arrivare un pipistrello, che nei suoi giri scendeva sempre più vicino a lei. Quando la notte prepotente iniziò a sciogliersi, colando fredda dall'alto, pochi ragni restarono a carezzare la piccola creatura pallida. Lily aveva il volto rigato, ma non erano lacrime, era la pioggia. E il pipistrello resisteva grondante perché aveva una storia per Lily. Per questo il volto di Lily non era rigato di lacrime, ma soltanto di pioggia.

C'era un deserto e nel deserto c'erano sabbia e sassi e sotto e in mezzo c'era una piccola ombra. Una piccola ombra che non si sapeva da dove arrivasse e di cui non si riusciva a capire la forma reale da cui si proiettava. Perché forse una forma reale non aveva. Era soltanto una piccola ombra, tra la sabbia e i sassi di un deserto. Il deserto occupava un intero pianeta molto vicino al sole e altrove l'ombra sarebbe stata ben più lunga. Nel deserto i sassi erano meteore pigre che avevano scelto la strada più breve, bruciando in fretta ogni sogno di evasione. La sabbia non si sarebbe mai dovuta chiamare così. Aveva questo nome soltanto perché come la sabbia fine delle conchiglie sarebbe passata veloce tra le dita se qualcuno l'avesse raccolta in un pugno. La sabbia era soltanto una sostanza in cui nascondersi rapidamente e con facilità. E la piccola ombra giocava a far perdere ogni traccia di sé, tra sogni falliti e facili nascondigli, appena sotto la superficie visibile del deserto. La piccola ombra somigliava molto a una menzogna. Una menzogna inconfessata di cui a qualcuno resta il sospetto. Soltanto una piccola ombra nel vasto deserto. Mentre i sogni d'evasione cadono uno a uno, pietrificandosi come souvenir. E se qualcuno di questi sembrerà una rosa, sarà soltanto una rosa di pietra che il deserto ha lavorato schiaffeggiandola della sua poca sabbiosa sostanza. E se altrove sul pianeta, o più lontano, nasceranno nuove piccole, o grandi, ombre che giocheranno a nascondersi, comunque resteranno tali finché non si incontreranno e impareranno parlarsi. Soltanto se si parleranno potranno svanire nel sole. O crescere a dismisura alimentandosi le une delle altre. Fino ad ingoiare tutto quello che gli sta intorno, vomitando buio sul deserto desolato che ha poca realtà, sul deserto abitato dall'inconsistenza di chi sfugge come sabbia anche se si serrano i pugni. Perché non c'è niente da trattenere in un gioco di ombre che non possono chiamarsi per nome. Perché nome non hanno. E il deserto è grande. E quella piccola ombra girava fra i sassi e sotto la sabbia credendo di essere da sola su quel pianeta fatto di deserto, quando incontrò uno scarafaggio piccolo quanto lei che la trovava ogni volta che si nascondeva. Lo scarafaggio eppure non era particolarmente astuto, sapeva però orientarsi nella sabbia e fra i sassi perché erano il terreno su cui da sempre aveva camminato. Lo scarafaggio aveva sempre tenuto la sua ombra sotto la pancia e non ne aveva mai viste altre. Seguiva la piccola ombra soltanto per curiosità. Perché voleva provare soltanto a toccarla con le zampette, pensando di poterla trasportare nella sua tana per non farla più uscire. Soltanto per proteggerla dal sole che sembrava infastidirla. Non sapeva lo scarafaggio che se ci fosse riuscito la piccola ombra avrebbe fatto della sua tana la sua casa, che gli avrebbe divorato ogni cimelio prezioso finora lì custodito. E quando la piccola ombra riuscì a sfuggirgli abbracciandolo sotto la pancia, lo scarafaggio pianse e si pentì di averla rincorsa. Tornò più pesante sui suoi passi, credendo di essere stanco e malinconico per il gioco a lungo protratto che era finito. Invece c'era un'ombra che gli aveva scaricato il suo peso e ora era tornata a correre nel deserto appena fuori dalla sua tana, come se avesse riconquistato il suo spazio. Una nuova piccola ombra che somigliava molto a una nuova menzogna. Nello stesso deserto.

Lily era rannicchiata e immobile sul prato, sotto la pioggia. Come la statua in marmo bianco di un angelo, che sulle spalle ha due ali inutili. Mentre il pipistrello mosse le sue per allontanarsi e trovare rifugio in qualche luogo distante. La pioggia scendeva fitta e silenziosa. E presto si sarebbe confusa alle lacrime, alla scia liquida delle due stelle nascoste sotto le palpebre di Lily. Lacrime che sembravano code di piccole comete. Comunque lacrime e non più
soltanto pioggia.

I ragni sono stanchi. I pipistrelli sono al riparo.

Lily aspetta le vostre storie. Adesso tocca a voi...

Monday, November 13, 2006

Il sole nella notte


Non era ancora Notte e non c'era ancora la Luna, ma solo il Sole che, tolta la sua veste sfavillante, mostrava agli occhi del Mondo i suoi iridati colori. Lily si mise a correre incontro al Sole e si fermò solo quando si trovò dinanzi al Mare. Il Mare la salutò con sorrisi spumeggianti e con l'aiuto del Vento le sussurò che la stava aspettando, "siamo lontani" le disse "ma ho sentito la tua Anima, so che il tuo sogno è carezzare il Sole."
Lily chiuse gli occhi, sentì il vento giocare con il suo ciuffo e carezzarle il viso, per un attimo si sentì come se fosse Mare, Vento, Cielo, Sole...il Sole era arrivato all'orizzonte e il Mare aveva srotolato la sua scia dorata fino a toccarle i piedi. Lily la percorse tutta come in trance e arrivata davanti al Sole lo accarezzò teneramente.
E non era un sogno del delirio. Era un volo dell'Alibro che l'aveva portata davanti al Sole. Perché una voce era arrivata per raccontarle una storia. E il suo suono aveva calore e colore. E tutto questo era vita per Lily. Che si era alzata come una bambola di pezza capace di volare. E che la paralisi la stesse abbandonando poco alla volta poco importava. Volare con l'immaginazione fino a toccare il Sole era bellissimo. E Lily, lì dov'era, si guardò le mani che avevano preso il colore dell'oro. Ma aveva sulle dita qualcosa di ben più prezioso. Era il Sole che riscaldava il mondo e maturava la vita. E Lily aveva un sorriso che faceva il giro del mondo, mentre il mondo le girava intorno. E i raggi che uscivano dalle sue dita, come gli aculei da un'istrisce, ferivano il buio della notte, mentre nessuno se li aspettava. Nel mondo sotto il Sole e sotto Lily i galli cantavano. E Lily rideva dello scherzo che stava facendo al mondo, insieme al Sole. Il Sole e Lily avevano in quel momento lo stesso volto, come se si specchiassero l'uno nell'altra. Anche la Luna rideva. Non per il canto dei galli, che non aveva mai sentito. Rideva perché Lily era felice e viva come non mai. E soltanto il Sole poteva quel miracolo.
E il Sole non tramontò nella notte. Il Sole passò nel cielo, sorgendo mentre Lily scendeva sul prato ad occhi aperti. Lily aveva negli occhi stelle lucenti, che brillavano inconsuete come il sole nella notte.

Una storia per un nuovo giorno o per una nuova notte di Lily, scegliete miei cari. Purché arrivi una storia per Lily...

Friday, November 10, 2006

Quasi senza respiro

Niente è per sempre?
Questo si chiedeva la piccola Lily mentre l'aria rosata, che eppure c'era, perdeva colore ai suoi occhi. Tutto il resto tramontava, mentre sorgevano di nuovo i sintomi della sua malattia. Quel cielo sempre più spento per le stelle dei suoi occhi, quando altre stelle erano ancora lontane dall'apparire, le faceva già rallentare il respiro nell'attesa della paralisi del corpo. Come se l'ossigeno sfumasse con i colori. Come se la dissolvenza cromatica portasse la conseguenza del vuoto. E dopo aver conosciuto la libertà dell'Indipendenza, l'inevitabile era davvero terribile da assecondare e aggiungeva malessere al malessere fisico. Lily si distese volontariamente sul prato. L'Alibro senza la linfa delle storie pareva ridursi a qualcosa privo di sostanza e di volume e la proteggeva dall'erba che esalava umida nella frettolosa dipartita del sole. A faccia in su, Lily evitava di guardare i ragni che stavano accorrendo per carezzarla. E cercava nel cielo l'arrivo dei pipistrelli. Nel rosso del cielo soltanto uno comparve per ruotare sulla sua testa coricata. E insieme a lui girava tutto il mondo sotto il cielo d'asfalto. Quando il rosso cominciò ad assumere il tono dell'imbrunire, Lily si mise ad ascoltare l'aria che non aveva più altra ragione di starle lì intorno che quella di fare da mezzo per portarle le parole di una storia. I polmoni di Lily si stavano asciugando insieme all'Alibro, lasciandola quasi senza respiro.

E c'era un bosco e qualcosa di molto piccolo era nel bosco. Si sarebbe detto facilmente uno gnomo, ma era una creatura ben più strana. C'era qualcosa che gattonava fra le foglie cadute, che sembravano sussurarre rispetto al suo passaggio. C'era qualcosa di molto piccolo che gattonava e la sua coda strisciava. Ogni tanto la coda restava impigliata agli sterpi più bassi. E quel qualcosa di molto piccolo, allora, si fermava studiando il nodo da sciogliere. La sua coda si sarebbe potuta chiamare Destino. Perché questo era. C'era qualcosa di molto piccolo che si muoveva nel bosco e che aveva per coda il Destino. E i nodi del Destino erano sempre molto complicati da sciogliere perché si formavano per caso. E non c'era una ragione da comprendere che avrebbe aiutato la creatura a districarli. C'era qualcosa di molto piccolo e di invisibile agli occhi poco attenti che provava ogni volta a sciogliere i nodi del Destino. Per continuare ad avanzare in un bosco, non si sa quanto esteso. Un bosco ignoto e inesplorato, che si faceva conoscere cammin facendo. Certe volte la luce riusciva a passare e rischiarava la meta. Certe volte si procedeva nell'ombra. La creatura riusciva sempre a sciogliere i nodi e ad andare avanti. Ma i nodi più ostinati gli lasciavano un segno indelebile sulla coda, come se non si fosse dovuto mai più scordare di qualcosa. E la creatura non era sola, ce n'erano tante, sue simili, nel bosco. Certe volte le code si annodavano tra loro e formavano sempre dei nodi ostinati. Che lasciavano memoria di sé anche quando ognuno riprendeva il proprio cammino. Il bosco girava senza che neppure se ne accorgessero le creature che lo popolavano. Girava insieme al mondo. Perché un mondo era. E i percorsi fra le foglie restavano tracciati e qualche volta le creature si trovavano a tornare sui propri passi. I percorsi si cancellavano soltanto, e magicamente, quando le creature esauste arrivavano alla fine del bosco. Perché una fine c'era sempre.
Lily era quasi senza respiro. Il pipistrello sembrò fermarsi sopra di lei come crocifisso, prima di andarsene. Soltanto per salutarla, soltanto per farle un segno. Come le croci che chiudono una navigazione. Come le croci che indicano il tesoro sopra una mappa.
Dietro il pipistrello c'era la Luna, quando il pipistrello si fermò. E la Luna era la madre di Lily. La sua origine. Non la sua fine.

Una storia per Lily forse adesso potrebbe essere raccontata soltanto dalla Luna o dalla Notte. Perché ormai era questo che occupava il cielo. Forse qualcuno ha un sogno per lei?

Sunday, November 05, 2006

Due gatti per Lily

Due gatti si avvicinarono e si strusciarono a lei, riscaldandola piacevolmente. (Si erano materializzati dal niente, sotto il cielo di asfalto. Come fossero un dono del cielo, di quel cielo e non di altri.)
Ma non bastava. Ci voleva la storia.
Si scambiarono uno sguardo e il più grande cominciò:

"Ciao Tigre, bentornato! Ecco la tua cena. Mangi di gusto eh, ti lecchi le labbra. Io mi sono fatto un preconfezionato veloce, non ho mai tempo di cucinare seriamente, mi foraggio alla meglio.
Vieni sul divano, ci riposiamo. Fatti accarezzare, mi rilassa e ne ho bisogno. Ho avuto una giornataccia. Questo lavoro mi sta uccidendo, sono sempre stanco e stressato.
Com’è morbido il tuo pelo, è uno dei maggiori piaceri della mia vita. Fai le fusa, bene, almeno uno di noi è contento.
Dove sei stato stasera? A spasso, beato te. E magari ti sei fatto qualche gattina, è la stagione degli amori. Non sei mica sfigato in amore come il tuo padrone!
Sbadigli? Sei stanco anche tu. Che bei denti affilati, sei una belva Tigre!
Avrai dovuto lottare con gli altri maschi. Fammi vedere: hai solo un paio di graffi. Glie le hai suonate vero? Vorrei saper combattere bene come te!
Vorrei vivere come te. In fondo un po’ ci somigliamo, anch’io andrei sempre in cerca di avventure se potessi. Ecco perché questa routine mi pesa. E mi pesano i legami, avrei un carattere indipendente. Ma ho preso così tanti impegni ormai.
Sbadigli ancora? Sei proprio stanco. Stanco e soddisfatto, scommetto. Vorrei esserlo anch’io, invece sono stanco e depresso. Che vitaccia la mia, Tigre!
- E basta!
- Cos’è? Chi è stato?
- Secondo te? Qui ci siamo solo tu e io.
- Tigre! Ma tu parli!
- Miao, e mi sembra giusto, tu hai parlato anche troppo. Non ne posso più delle tue lagne.
- Oh…scusa, non volevo annoiarti.
- Lo dico per te. Miao, datti una mossa, amico. Se la tua vita non ti piace cambiala!
- Ti sembra facile? Bisogna pur mantenersi. Tu dici bene, ma che faresti se non ci fossi io a occuparmi di te?
- Mi arrangerei, come tanti miei simili. Miao, non serve poi tanto per vivere. Un topo di qua, un pezzo di cibo rubato di là. Un cespuglio o un sottoscala per dormire. Una gatta ogni tanto per una sveltina. Un tetto su cui stare sdraiati o un giardino da esplorare.
- Beh, per noi umani è diverso. Non possiamo mangiare carne cruda o rifiuti. Non possiamo dormire all’aperto se non siamo attrezzati. E le nostre femmine non si accontentano di accoppiarsi e poi andare ognuno per i fatti suoi. E comunque anche noi abbiamo bisogno di passatempi più elaborati…
- Miao, e non vedete al buio, non sentite gli odori, non cadete in piedi, non estraete le unghie, vi muovete come dei sacchi di patate…siete gli animali più imbranati e impediti del mondo! Gnaa gnaa, non potete neanche curarvi le ferite da soli! Vi tocca comprare il disinfettante, per non parlare dei digestivi e della vitamina C. Gnaa gnaa, sapessi le risate che ci facciamo su di voi!
- Ma insomma Tigre…beh non hai tutti i torti a pensarci bene…
- Miao, pensa, pensa, che è l’unica cosa che vi riesce bene. Pensare, cioè arzigogolare con la mente. Bell’affare avete fatto, tra tanti organi sviluppare proprio il cervello!
- Miao, cioè sì, hai ragione. Ma non l’ho mica chiesto io di nascere umano, e non ci si può fare niente.
- Miao, qualcosa si può fare invece…
- Ma che succede?…mi gira la testa…tutto diventa più grande…o sono io che rimpicciolisco?…ehi ora vedo tutto molto meglio…percepisco tutto meglio…ho caldo…mi sento più forte, più sano…è fantastico! Sei stato tu? Come hai fatto?
- Miao, qualunque animale può farlo se ha abbastanza empatia con l’umano.
- Empatia?
- Miao, l’hai detto anche tu che ci assomigliamo. E poi sai, anche se ho riso di te, un po’ ti voglio bene. Mi faceva male vederti ridotto così, e mi piaceva l’idea che potessimo stare di più insieme e divertirci. Miao, o sei ancora così umano da credere alla vecchia storia che i gatti non si affezionano?
- Lo sai che non ci ho mai creduto. Ma adesso come faccio? Chi si occuperà della mia casa? Che dirà la mia famiglia? Chi porterà avanti il mio lavoro?
- Casa? Famiglia? LAVORO? Pffffff! Che te ne importa di queste cose? Sei un gatto!
- Hai ragione, a pensarci bene non me ne importa più niente.
- Pensare? Pfffffff!
- Va bene, non penso più. Allora, che facciamo adesso?
- Miao, è una bella notte di luna, andiamo un po’ in giro a esplorare, poi si vedrà.
- Sì, cioè miao. Ma non torniamo troppo tardi. Domattina devo…
- PFFFFFFFFFF!
- Abbi pazienza, mi ci devo abituare. Andiamo, amico."

I ragni finalmente se ne andarono verso le loro tane, per riposarsi un po' le zampe. E Lily si accorse di volare soltanto dopo che l'Alibro l'aveva alzata dal prato. Era ancora stordita dalla lunga malattia e dalla paura. Non la paura di morire. La paura di non poter più immaginare niente. Chiuse gli occhi, ma le stelle brillavano sotto le sue palpebre. E iniziò ad immaginare l'Indipendenza. Perché la storia dei gatti ne aveva il profumo. Lily si trovò in mezzo a qualcosa che non era aria, era qualcosa di più leggero. Si muoveva senza pensare ai movimenti. Senza pensare a niente. Perché poteva tutto. Un'onnipotenza positiva che donava soltanto la libertà di potere (voce del verbo, e gli Inglesi non avrebbero di questi imbarazzi). Un cuore leggero. Leggero come un palloncino appeso ad un filo che non riesce più a trattenerlo, un filo libero da qualsiasi vincolo. Un filo che si muove come la coda di un gatto felice, che serve soltanto per mantenere l'equilibrio. Perché l'equilibrio ci vuole. L'equilibrio che ti evita di cadere nel significato più negativo dell'onnipotenza. Per questo Lily immaginava l'indipendenza come lo spazio più libero dell'individuo. Uno spazio che si ottiene senza guerre, rifiutando il compromesso.
- Soltanto dai gatti possiamo imparare come si fa. - Pensò Lily un attimo prima di riaprire gli occhi. Un'aria rosata scendeva dal cielo d'asfalto, come se il cielo respirasse. Il tramonto stava per baciare il cielo di sopra. E il cielo già arrossiva al pensiero.

Lily è felice come non mai. Perché le storie erano arrivate e ora c'era il tramonto. E il tramonto porta sempre vicino a lei i pensieri della sera. Sempre. Sempre se voi vorrete ancora farla volare...

Saturday, November 04, 2006

Il penultimo respiro


Non era mai capitato prima che la malattia di Lily durasse così a lungo. Il sole doveva essere già alto nel cielo di sopra, perché i ragni si stavano organizzando in turni. E cosa restava di Lily nessuno di loro se lo chiedeva, ma continuavano a stimolare il lento flusso del suo sangue, incalzando il ritmo delle loro carezze. Il sangue di Lily era un fiume gelato e le sue vene sembravano scricchiolare sotto il massaggio leggero delle zampette nere dei ragni. La sua pelle aveva il tatto vulnerabile della carta velina. E le stelle stavano collassando nei suoi occhi. Le pagine dell'Alibro si stavano attaccando l'una all'altra. Non c'era quasi più speranza che potessero ancora arrivare delle storie. Lily sognava soltanto di volare, non poteva più immaginare dove. Era come quando al cinema si strappa la pellicola e d'un tratto le immagini vengono bruciate dalla luce dello schermo bianco. Ma era il buio che stava spargendosi in ogni suo pensiero. Il buio non era più soltanto intorno a lei. La stava penetrando. Anche il suo pallore sembrava riflettere sempre di più quel cielo d'asfalto che copriva il suo mondo. E il suo mondo stava diventando la sua sepoltura. La sua sconosciuta sepoltura. Sotto un mondo inconsapevole. Quanti tuoni sarebbero passati ancora sopra di lei senza sembrare più tuoni. Sarebbero sembrati silenzio. Perché, presto, Lily non avrebbe potuto più udirli. Presto. Ma non ancora. Perché ancora ogni suo respiro poteva sembrare l'ultimo. Ma l'ultimo non era. Una lunghissima apnea la tratteneva ancora in vita. Non si sa per quanto. Ma l'ultimo respiro sarebbe certamente arrivato. Dopo il penultimo.

Lily ha bisogno di voi, ora più di sempre. Perché vive di storie. E non vorrei mai dover dire 'viveva'.