Saturday, January 27, 2007

La storia del lupo bianco

Il silenzio della notte fu squarciato impietosamente da un acuto lamento.

Nel folto del bosco il buio era assoluto.
Il cielo era solo una macchia scura, solcata da rami protesi come artigli pronti a ghermire una qualsiasi preda ignara.
Un vento maligno sollevava le foglie cadute in improvvisi turbinii per poi fuggire fischiando tra i tronchi rinsecchiti dal freddo inverno.
Poi di colpo: un ululato.
Non era possibile sbagliarsi.
Era proprio la vibrante voce di un lupo.
Un ululato.
Ancora uno.
Di nuovo, ma più vicino.
Sempre più vicino…

Lily, distesa sul prato, era immobile, inerte.
Nel fruscio feroce del vento, faticava non poco per distinguere i passi felpati del predatore in agguato.
Ascoltava e tremava.
Inerme.

Il lupo era lì. Pelo bianco ed occhi incandescenti. E grandi denti.
Lily, terrorizzata, non era in grado di muoversi.
Quasi non era più in grado nemmeno di respirare.
Vide gli occhi di brace del lupo specchiarsi nei suoi.
Sospirò debolmente e pregò perché tutto finisse presto…

Ah, se l’Alibro svolazzasse ancora…
Se solo m’avessero dato una storia
una vita…


Il lupo avvicinò le sue fauci dentate al volto di Lily.
E, senza tentennamenti né rimpianti, le leccò una guancia.
Poi si sdraiò aspettando che lei riaprisse gli occhi…

Lily, stupita d’esser ancora viva, non sapendo come comportarsi, si finse comunque morta.
Il lupo aspettava pazientemente.
Lily dischiuse appena un occhio.
E il lupo sorrise.

In fondo era solo un vecchio lupo bianco.
Che amava raccontare storie.
Per non sentirsi troppo solo.

Una voce che Lily non aveva mai sentito così vicina, quella del Lupo. Lily comprese le parole nel suono degli ululati e quello che ad altri avrebbe fatto accapponare la pelle le riscaldò, invece, il cuore. Ma prima di ascoltarlo lo guardò e il lupo tacque, in procinto di cominciare, per non farle perdere neppure una parola della sua storia. Osservò i baffi che avevano la luce della seta nella luce lunare, ora che Lily sapeva cos'era la seta riusciva a fare paragoni. E il pelo bianco che incorniciava il suo muso come se nient'altro di immaginabile potesse esserne ugualmente degno. Lily non avrebbe mai detto che fosse vecchio. Ma che era solo quanto lei, sì, questo riusciva a capirlo nell'immediatezza. Perché il lupo non l'aveva mangiata, come del resto lei si aspettava facesse. Perché c'è soltanto una cosa più forte della fame, ed è il bisogno della compagnia di 'qualcunoqualsiasi' quando la solitudine è più grave del peso corporeo. E non c'è pasto che possa rifocillare un cuore desolato. La stanchezza e la noia o parlano o ti strozzano. Forse per questo il Lupo le raccontava delle storie? Sicuramente anche per questo Lily si mise ad ascoltarle. Per nutrire il lupo della sua attenzione.

C'era una steppa imbellita dal gelo. Perché nel gelo brillava della luce dei cristalli. Mai nessuno si era avventurato con passi scricchiolanti a disturbare il suo manto. Su di lei correvano soltanto il cielo e le stagioni. Correvano sembrando immobili. Correvano perché il cielo e le stagioni corrono ovunque, trainati dal tempo che nessuno può domare. Neppure i lupi passavano attraverso quella steppa. Perché i lupi ne avevano il rispetto che si deve ai luoghi sacri. E anche i lupi, come tutte le altre specie che non vi si erano mai avventurate, ne avevano un po' timore.
Quella steppa si diceva fosse la dimora dell'Inverno e del sonno della Natura. Per questo neppure un lupo aveva mai avuto l'ardire di ululare nelle sue vicinanze. Perché non si può forzare la Natura al risveglio quando la Natura decide che è il momento di riposare. E soltanto il vento, il vento operaio del tempo, occupato a spingere il cielo e a consumare tutte le cose, avrebbe potuto raccontare cosa c'era oltre la steppa. E forse se anche noi
potremmo provare a indovinarlo è perché respirando ci nutriamo della sua aria. Forse, così, qualcosa del vento resta
in noi, come un seme della sua conoscenza delle cose.
Perché sappiamo che accanto alla dimora dell'Inverno sorge il giardino della Primavera, dove tutto quello che dormiva si risveglia. Un ritorno alla vita, attraverso il sonno. Una morte apparente che ristora la forza di ogni natura. E ogni natura ha un ciclo, un cerchio magico da percorrere. E i lupi non avrebbero mai calpestato il cerchio, che maturava fino a bruciarsi nell'estate, e che spargendo le ceneri delle foglie si consumava nell'autunno. Perché i lupi avevano rispetto dei luoghi sacri. E fiutavano la presenza del cerchio invisibile, perché anche i lupi respirano il vento.

Lily si sorpese del calore che sentiva di nuovo nelle vene. Era il calore del respiro del Lupo ad averla salvata. Era forse la storia che le aveva raccontato. Era la certezza che sarebbe tornato da lei, anche se adesso poteva distinguerne chiaramente soltanto la coda. Mentre se ne andava.

E chi di voi tornerà da Lily per raccontarle una storia?

Poche ore dopo dall'invio di questo post. Il mio branco ha un lupo di meno. Il gelo si è posato su ogni parola che non riesco a dire. A scrivere, neppure.
Silenzio. Silenzio.
Shhhhhhhhhhhhhhhhh....

Saturday, January 20, 2007

Nella soffitta

Sul prato c'era già una folla di ragni intorno a Lily. Carezze per multipli di otto zampe. Per spingere il sangue che il cuore quasi non pompava più. In un pallore crescente, come quello della Luna che compare e resta nel cielo per tutta la notte, sempre più grande e luminosa mentre intorno il buio si infittisce. L'Alibro immobile, gli occhi che invece ancora avevano vita, ispezionando il cielo alla ricerca dell'arrivo di un pipistrello. E il pipistrello arrivò, le ali come un mantello nero gonfiato dal vento.
Il pipistrello aveva ancora una storia per Lily. Che i ragni non sentirono, perché i ragni non possono udire gli ultrasuoni.
Ma Lily, nella paralisi, aveva il senso dell'udito acuito, spasimando la sopravvivenza che soltanto le storie potevano darle.
E la storia del pipistrello cominciò a risuonarle intorno. E risuonava soltanto per lei. Il resto del mondo avrebbe detto che c'era ancora silenzio.

C'era una soffitta coperta di polvere fin dalle assi del pavimento. Se qualcuno ci fosse entrato avrebbe laciato l'orma di ogni suo passo, ma erano molti anni che nessuno ci entrava e nella soffitta sembrava immobile anche la polvere. Niente cambiava da anni là dentro, se non la luce che entrava dalla piccola finestra posta sulla parete opposta alla porta. Di giorno, quando fuori c'era il sole, i raggi che entravano muovevano un cono dal raggio costretto sopra il disegno di un piccolo tappeto. Boccioli di rosa in attesa della primavera per sbocciare. Piccoli uccelli dal piumaggio color indaco aspettavano il calore per frullare le ali e liberarsi della polvere in una giostra di brevi voli. Questo accadeva sotto i raggi del sole che entravano dalla finestra. Questo era il segreto della soffitta. E per questo di giorno la soffitta profumava di rose. E per questo l'aria sembrava risuonare del canto di uccelli esotici. Forse per questo nessuno ci entrava da anni, perché tutto quello che era chiuso nella soffitta sembrava una maledizione. Invece era un prodigio. E quando il sole tramontava e dalla finestra entrava la luce della luna, i boccioli si richiudevano e i piccoli uccelli tornavano immobili, con il capo sotto l'ala. L'indaco si spegneva nel nero della notte. Le rose prendevano il colore della polvere. Ma restava la pace nell'aria, la pace di un mondo che riposa.
Un mondo che non aveva il coraggio della curiosità, quello fuori dalla soffitta. La meraviglia della scoperta di un prodigio è un dono che bisogna meritare. Sfidando i timori razionali che si arrendono all'inconsueto, forse nella speranza che la polvere possa fargli da tomba. Ma la vita è prepotente e ha infinite nature. E quella del mondo fuori dalla soffitta era una natura domata, artificiale nei ritmi e nelle funzioni. Mentre nella soffitta regnava la libertà e la meraviglia. Nella soffitta, se qualcuno fosse entrato avrebbe lasciato soltanto qualche orma nella polvere. Mentre, fuori, la polvere faceva da tomba al mondo.

Lily fece un grosso respiro, forse un sospiro. I ragni si allontanarono veloci, come in fuga dal vortice di un tornado. I polmoni di Lily si riempirono dell'aria dei giardini nel mese di Maggio. Ma l'Alibro non frullò le sue pagine come fossero ali, in una giostra di brevi voli. Se l'Alibro fosse stato un piccolo uccello, si sarebbe potuto dire che ancora teneva la testa sotto l'ala. Nel silenzio che seguì la fine del racconto del pipistrello. Nel silenzio del sonno del resto del mondo. Mentre due ali nere fuggivano lontano sotto il cielo d'asfalto, come il mantello di qualcuno che, voltate le spalle, si allontana di fretta.


Il silenzio del mondo è la tomba di Lily... fate uscire per lei una storia dalla polvere...

Friday, January 12, 2007

Sete di seta

Lily avrebbe voluto aiutare il nuotatore a raggiungere l'orizzonte ma sapeva che a niente sarebbe servito perchè ognuno deve raggiungere la meta prefissata con le proprie forze: la stanchezza, le lacrime, il desiderio di raggiungere l'orizzonte avrebbero fortificato il nuotatore che si preparava ad affrontare nuove prove.
E intanto Lily volava, perché l'Alibro frullava le pagine nel soffio della brezza marina e del sussurro di una nuova storia. E volava alta sul nuotatore. Che nuotava e continuava a nuotare. Senza sospettare
che Lily sgambettasse nel cielo. Senza sospettare che qualcuno guardasse la sua impercettibile scia che si allontanava nel mare. Un filo di seta. Un cordone ombelicale tra l'orizzonte e la riva sempre più lontana alle sue spalle. Una trama sottile del destino che lo portava chissà dove, ma che annodava cuore e ricordi con quello che stava lasciando. Forte solo della scelta di andarsene. Vulnerabile nell'ignoto a cui stava andando incontro. Il nuotatore continuava a nuotare. E Lily chiuse gli occhi per immaginare, perdendo per sempre ogni traccia di lui e del suo percorso. Perché era giusto così. Che restasse da solo. Perché non era un naufrago, era un nuotatore, e ce l'avrebbe fatta con le sue forze. Lily chiuse gli occhi pensando di immaginare la seta, che non sapeva davvero cos'era. Ora la brezza del mare l'accarezzava. Non come facevano i ragni durante le sue paralisi, ma come fa il vento quando ti incontra. E Lily sentiva il tocco della brezza. Percepiva il frusciare leggero dell'aria che fuggiva rapida sulle sue guance. E l'Alibro le disse che la seta era così, ma che, a differenza dell'aria, aveva un colore. Anzi, che addirittura se ne poteva scegliere il colore e poi avvolgersi nei suoi drappi e andare in giro con la sensazione di avere un abito fatto d'aria. Di vento. Di brezza marina. Quella brezza che adesso le cominciava ad asciugare le labbra e a farle sentire la sete. Solo per la sete che aumentava Lily aprì gli occhi. Ma le restò il desiderio di avere un abito di seta. Di una seta del colore del prato, o della Notte e della Luna che adesso credeva ne fossero vestite. E seduta sul prato Lily accarezzò l'erba, immaginando che se l'erba avesse potuto sentire il suo tocco leggero avrebbe potuto pensare che lei, Lily, era la seta.

Una storia, ancora una storia... Lily ha sete anche di questo...

Sunday, January 07, 2007

Il nuotatore

Se era giorno o se era notte poco importava. Lily non aveva abbastanza coscienza del mondo per accorgersene. Lily aveva freddo. E avrebbe avuto freddo ugualmente sotto il sole come sotto la luna. Poco importava quale ora del giorno fosse, quale stagione dell'anno colorasse il mondo sopra il cielo d'asfalto. Aveva freddo. L'Alibro era immobile e senza storie. Il silenzio delle storie era gelo. E soltanto perché le stelle in inverno sembrano avere più luce, le stelle negli occhi di Lily avevano la luce balenante di un faro. E fu per quella luce che i ragni riuscirono a trovare la piccola creatura pallida distesa sul prato. E fu quella luce che fece arrivare il pipistrello. E con lui arrivò una storia che risuonò di malinconia e di ultrasuoni, come se un pianoforte potesse avere un suono ultrasonico.

Una breve onda di schiuma toccava la battigia. Le piccole conchiglie sulla riva. Un coccio di bottiglia verde come uno scarabeo. Uno scarabeo arenato. Un gioiello che aveva scelto di galleggiare nel mare. Un gioiello che era fuggito al destino del fondo di una discarica. Un gioiello che era un coccio di bottiglia e che solo nei giochi di una bambina avrebbe impreziosito una corona.
Un’altra breve onda ora toccava i piedi del nuotatore che si era avvicinato all’acqua, contando i passi come in un conto alla rovescia. Senza spiccare la corsa. Immergendosi ogni passo di più. Pensando di incontrare dolcemente l’assenza di gravità. Senza il bisogno di convincersi che l’acqua non sarebbe stata fredda sulla sua pelle. Come chi si lancia nello spazio non pensa di incontrare il vuoto, ma il mondo dove vivono e muoiono le stelle. Quando il razzo parte non si tocca più la terra. E il nuotatore iniziò a battere i piedi come avrebbe mosso la coda una sirena, avanzando a piccole bracciate verso un orizzonte irraggiungibile. Senza guardarsi mai alle spalle. Senza pensare alla spiaggia che ora poteva sembrare lontana quanto l’orizzonte. Il nuotatore avanzava nell’alba, in un mare dove le onde erano pieghe di un immenso drappeggio di seta. In quella luce il nuotatore era quasi invisibile dalla riva. Mentre avanzava, pensava che nessuno avrebbe mai potuto fermarlo. Forse così avrebbe fatto il giro del mondo. Bastava andare avanti senza guardarsi mai alle spalle, senza guardare il fondo con la testa sott’acqua, senza perdere di vista la meta irraggiungibile dell’orizzonte. Senza farsi accecare dal sale. Dalle lacrime che gli bruciavano gli occhi. Soltanto così sarebbe andato lontano da quello che aveva lasciato a qualche chilometro dalla riva. E lontano era dove voleva arrivare.
Per non sentire la stanchezza. Non sentiva il dolore delle bracciate. Per non sentire la rabbia. Non sentiva i morsi dei crampi. Per cominciare da capo. Continuava a nuotare. E se avesse intravisto una perla sul fondo del mare, o se c’era un tesoro, non si sarebbe comunque fermato. Perché non cercava né tesori né perle. Cercava di toccare l’orizzonte con la punta delle dita. Perché l’orizzonte era lontano.
Adesso il sole aveva cambiato il colore dell’aria e dell’acqua, ma non aveva avvicinato l’orizzonte. E c’erano gabbiani che roteavano nel cielo che il nuotatore non vedeva e non avrebbe mai visto. Perché non si fermava, e non si sarebbe fermato, per alzare la testa. Continuava a nuotare.
Non sentiva più il peso della gravità. Delle colpe. E non si accorgeva più di piangere perché sulle labbra aveva il sapore del mare, che vinceva il sapore delle lacrime. E così forse avrebbe scordato il peso e il dolore. E continuava a nuotare. E continuava a nuotare. Era ormai indistinguibile dalla spiaggia. Era ormai lontano quanto l’orizzonte. E nuotava, senza più neppure pensare.

Lily credette così di addormentarsi e di trovare dolci sogni, come quando la Luna le raccontava le storie della buonanotte. E nei sogni di Lily l'Alibro tornava a farla volare e le carezze dei ragni non erano più necessarie per mantenerla in vita. Perché Lily viveva di storie. Era nata per questo e per questo brillavano i suoi occhi. Brillavano ancora nell'attesa. Nella fiducia. Nella speranza. Perché le parole esistono per raccontare.

Ora che le luci delle feste si stanno spengendo.. qualcuno può forse accendere un fuoco a cui Lily possa scaldarsi? Una frase, un rigo appena...