Friday, March 30, 2007

La morte di Lily

Il cielo era sempre d'asfalto. Il prato era ancora verde, popolato soltanto di ragni disoccupati. L'Alibro era un fossile.
E Lily era morta.
Il suo corpo era rigido e freddo, come il senso doloroso dell'immobilità che scende sui timpani nel prolungarsi del silenzio.
Era morta.
E la rigidezza cadaverica faceva di lei una statua bianca, crollata dal piedistallo e distesa tra l'erba del prato infinito, sotto il cielo d'asfalto.
Lily era morta.
La morte aveva vinto sui ragni e sulla voce dei pipistrelli.
Nelle sue orbite c'erano ancora due piccoli specchi infranti. Due specchi opachi che ora riflettevano soltanto la polvere e che presto la polvere avrebbe spento di ogni bagliore. Forse un bambino, ancora, avrebbe potuto scriverci sopra qualcosa con un dito. Perché i bambini non sanno resistere all'istinto di scrivere sulla polvere e sulla condensa dei vetri. La condensa delle lacrime faceva da colla alla polvere. Lily aveva pianto, nel silenzio totale, mentre stentava resistenza alla morte. Finché il silenzio le aveva serrato il diaframma. Finché l'apnea, sempre più lunga, aveva esalato da lei l'ultimo respiro. Come il prato che svapora nell'alba. Come il soffio umido di una balena, lo strano mammifero che nessuno tra i mammiferi 'mammifero' direbbe.
Così Lily, la strana creatura che viveva dove vita nessuno tra i vivi avrebbe detto ci fosse, era morta.
Lily era morta, nonostante la primavera e tutto quel suo cantare e sbocciare.
Lily era morta, nonostante i telegiornali e i pareri degli esperti sui fatti di cronaca e sulla politica internazionale.
Lily era morta, nonostante le parole, sopra il cielo d'asfalto, si sprecassero copiosamente.
Perché Lily non aveva mai vissuto per questo.
Sotto il cielo d'asfalto non arrivavano le stagioni a cambiare il paesaggio, ma le storie raccontate spingevano i giorni come sopra le stagioni muovono il tempo. E l'immaginazione cambiava forme e colori.
Ma le parole non si erano più posate sull'Alibro per raccontarle delle storie.
E Lily era morta.

Chi di voi vuol parlare ad un fantasma?

Monday, March 19, 2007

Il risveglio del vulcano

Il respiro di Lily sembrava che stesse per vincere il gioco del silenzio. Gli intervalli tra un respiro e l'altro erano così rari che soltanto 'il tempo di quando ci si annoia' poteva sembrare più lungo.Gli occhi di Lily si stavano asciugando e avevano perso luce. Le sue pupille erano uno specchio infranto. Come i sogni.
L'assenza prolungata delle storie aveva dato all'Alibro la pesantezza del piombo e due ali di piombo non fanno più volare niente e nessuno. Ma chi ancora aveva due ali funzionanti prese il tunnel che sbucava sotto il cielo d'asfalto alla velocità di un brivido che corre lungo la schiena. Chi aveva chiamato il pipistrello? Chi, in quel silenzio che pareva totale, si era fatto sentire? Non i ragni, che avevano il loro bel daffare. Lily aveva emesso un richiamo fatto di ultrasuoni. Un canto lentissimo che sembrava un inno alla vita. Il canto di chi cerca di sopravvivere al silenzio non può che essere ultrasonico.
Il pipistrello sapeva che il suo unico compito, in quel momento, era arrivare da Lily per raccontarle una storia. E questo fu proprio quel che fece.

C'era un vulcano che taceva da secoli. Il suo sonno sembrava avere il tempo dell'eternità. Ma non c'è niente di eterno; anche i sassi, che lo sembrano, diventano polvere prima o poi. Il vulcano era un vecchio che si era addormentato a bocca aperta e quando si risvegliò dal suo sonno lo fece tossendo, con la gola secca, sputando piccoli grumi incandescenti che prepararono la strada al fiume di lava. Come per chi ha trattenuto e omesso troppe volte qualcosa che era invece da dire, il fiume uscì
urlante e inaspettato dalla sua bocca, travolgendo e zittendo tutto quello che gli stava intorno. Come un vecchio che fa andare avanti il mondo come gli pare finché, un giorno, non riesce più a tacere e con la sua saggezza sparge il silenzio sul rumore disordinato che lo circonda, paralizzando tutto perché possa ricominciare da zero, pensando bene ai passi e al terreno da calpestare come fanno i bambini quando imparano a camminare da soli. Perché il vulcano era vecchio e ancor più di lui era vecchio il pianeta.
Quel vulcano adesso pareva un dio punitore o il suo servo. La sua mano non riuscì però a calare così lontano da toccare il centro abitato. La lava scolpì un giardino di pietra dove c'era la vegetazione, un tappeto lunare sul terreno brullo. Alcuni animali si accaparrarono il ruolo di fossili per i posteri. Gli abitanti del paese sotto impararono, almeno per i giorni dell'eruzione, che si deve soggezione e rispetto alla natura. E se subito dopo lo scordarono, comunque, l'avrebbero potuto ricordare. Che non è proprio come 'non saperlo'. E il centro abitato ebbe coscienza della propria posizione, che non era poi così 'centrale'. Era sotto il pendio sinistro di un vulcano.

Quando il pipistrello se ne andò, Lily respirava meno di rado.

Perché Lily ritrovi il ritmo vitale... forse servono le vostre storie?

Friday, March 02, 2007

La finestra cieca

Ancora una volta. Era accaduto ancora una volta. Che l'Alibro incollasse le pagine, che non ci fossero storie da raccontare. Che Lily si trasformasse una bambola di ghiaccio. Una bambola che muove soltanto gli occhi. Che i suoi occhi fossero così grandi nella desolazione da contenere tutto il cielo d'asfalto che stava sopra di lei e sopra il suo prato. Che il prato si popolasse di ragni. Che le carezze dei ragni fossero impercettibili per Lily, nonostante la rapidità convulsa delle otto-multiple zampette nel dispensarle. Che il respiro di Lily fosse così lieve e così raro che se fosse stata in mare, anziché sul prato, avrebbe potuto toccare il fondo degli abissi senza le bombole d'ossigeno. Perché di ossigeno non ce n'era lì intorno, perché 'ossigeno' per Lily sono le storie. E le storie non arrivavano più, da giorni.
Poi, il cielo d'asfalto condusse fino a Lily un pipistrello. E una piccola storia arrivò. Una piccola storia che le riempì i polmoni dandole la forza ancora per un respiro. Che soffiò lieve dalle narici, così lieve che i ragni che le stavano sotto il naso neppure se ne accorsero. Ma Lily sentì una storia. Una piccola storia in un canto di ultrasuoni.

C'era una finestra che guardava un angolo di periferia. E un angolo di periferia non è il mondo. E' lo spicchio di un estremo lembo di città. Che della città ha soltanto il codice postale. I frequentatori di un angolo di periferia, di giorno, sono spesso uomini a riposo. E spesso c'è un bar, lì sull'angolo. Un bar senza cucina, perché a pranzo i frequentatori vanno tutti a casa. Ma tutto questo accade lontano dall'angolo che stava davanti a quella finestra. Su quell'angolo c'era soltanto un palo della luce che di notte restava spento ormai da diversi anni. La palpebra di una pupilla cieca che restava aperta mostrando soltanto la propria cecità. Un vessillo fatiscente. Se fosse stato un albero sarebbe stato abbattuto. Fili riarsi senza più linfa elettrica, cotti dalle stagioni. Radici di una modernità che non aveva retto i tempi, insieme a tutta la periferia. Scheletri di palazzi incompiuti. Vecchi aborti. La famiglia non era cresciuta. Le fabbriche non erano sopravvissute al decennio e la periferia non aveva aperto le porte. La città era rimasta lontana più che altrove.
La finestra non aveva vetri. Era uno squarcio geometrico, a ricordo della sconfitta del progetto artificiale. Se avesse avuto vetri, quella finestra avrebbe potuto riflettere. Riflettere il movimento. Riflettere la vita di un angolo di periferia. Ma il mondo davanti alla finestra si era paralizzato. Con lui il futuro della periferia, di conseguenza. E se ora la finestra non rifletteva niente, era forse perché qualcuno, prima, non aveva riflettuto abbastanza. E non era per errore umano. Perché non è completamente vero che mancare di riflessione sia un errore. Non si riflette spesso per la fretta di concludere, per pressione, perché c'è altro da fare. La conclusione diventa l'inconcludenza. Perché la città, che è lontana dagli angoli di periferia, arriva invece nei pensieri con i suoi ritmi e i suoi ingorghi. E accade che si giri a vuoto intorno alle sue rotonde, perdendo la direzione da prendere.

Lily si accorse con ritardo che il pipistrello non era più in volo sopra di lei. Sentì soltanto un improvviso silenzio, che tornò a riempirle la testa di ovatta. Il silenzio delle percezioni tornò come se intorno a lei cadesse la neve, allontanado ogni eco del mondo. Lily ora aveva tempo per riflettere. Anche da quella posizione immobile, senza riflettere, avrebbe potuto perdere la direzione. Doveva ritrovare la strada delle voci che raccontano le storie.

Una storia per Lily, ancora un respiro... che possa scioglierla come il sole consuma la neve in lacrime. Fiocchi di pianto che si scioglie.