La morte di Lily
Il cielo era sempre d'asfalto. Il prato era ancora verde, popolato soltanto di ragni disoccupati. L'Alibro era un fossile.
E Lily era morta.
Il suo corpo era rigido e freddo, come il senso doloroso dell'immobilità che scende sui timpani nel prolungarsi del silenzio.
Era morta.
E la rigidezza cadaverica faceva di lei una statua bianca, crollata dal piedistallo e distesa tra l'erba del prato infinito, sotto il cielo d'asfalto.
Lily era morta.
La morte aveva vinto sui ragni e sulla voce dei pipistrelli.
Nelle sue orbite c'erano ancora due piccoli specchi infranti. Due specchi opachi che ora riflettevano soltanto la polvere e che presto la polvere avrebbe spento di ogni bagliore. Forse un bambino, ancora, avrebbe potuto scriverci sopra qualcosa con un dito. Perché i bambini non sanno resistere all'istinto di scrivere sulla polvere e sulla condensa dei vetri. La condensa delle lacrime faceva da colla alla polvere. Lily aveva pianto, nel silenzio totale, mentre stentava resistenza alla morte. Finché il silenzio le aveva serrato il diaframma. Finché l'apnea, sempre più lunga, aveva esalato da lei l'ultimo respiro. Come il prato che svapora nell'alba. Come il soffio umido di una balena, lo strano mammifero che nessuno tra i mammiferi 'mammifero' direbbe.
Così Lily, la strana creatura che viveva dove vita nessuno tra i vivi avrebbe detto ci fosse, era morta.
Lily era morta, nonostante la primavera e tutto quel suo cantare e sbocciare.
Lily era morta, nonostante i telegiornali e i pareri degli esperti sui fatti di cronaca e sulla politica internazionale.
Lily era morta, nonostante le parole, sopra il cielo d'asfalto, si sprecassero copiosamente.
Perché Lily non aveva mai vissuto per questo.
Sotto il cielo d'asfalto non arrivavano le stagioni a cambiare il paesaggio, ma le storie raccontate spingevano i giorni come sopra le stagioni muovono il tempo. E l'immaginazione cambiava forme e colori.
Ma le parole non si erano più posate sull'Alibro per raccontarle delle storie.
E Lily era morta.
Chi di voi vuol parlare ad un fantasma?
E Lily era morta.
Il suo corpo era rigido e freddo, come il senso doloroso dell'immobilità che scende sui timpani nel prolungarsi del silenzio.
Era morta.
E la rigidezza cadaverica faceva di lei una statua bianca, crollata dal piedistallo e distesa tra l'erba del prato infinito, sotto il cielo d'asfalto.
Lily era morta.
La morte aveva vinto sui ragni e sulla voce dei pipistrelli.
Nelle sue orbite c'erano ancora due piccoli specchi infranti. Due specchi opachi che ora riflettevano soltanto la polvere e che presto la polvere avrebbe spento di ogni bagliore. Forse un bambino, ancora, avrebbe potuto scriverci sopra qualcosa con un dito. Perché i bambini non sanno resistere all'istinto di scrivere sulla polvere e sulla condensa dei vetri. La condensa delle lacrime faceva da colla alla polvere. Lily aveva pianto, nel silenzio totale, mentre stentava resistenza alla morte. Finché il silenzio le aveva serrato il diaframma. Finché l'apnea, sempre più lunga, aveva esalato da lei l'ultimo respiro. Come il prato che svapora nell'alba. Come il soffio umido di una balena, lo strano mammifero che nessuno tra i mammiferi 'mammifero' direbbe.
Così Lily, la strana creatura che viveva dove vita nessuno tra i vivi avrebbe detto ci fosse, era morta.
Lily era morta, nonostante la primavera e tutto quel suo cantare e sbocciare.
Lily era morta, nonostante i telegiornali e i pareri degli esperti sui fatti di cronaca e sulla politica internazionale.
Lily era morta, nonostante le parole, sopra il cielo d'asfalto, si sprecassero copiosamente.
Perché Lily non aveva mai vissuto per questo.
Sotto il cielo d'asfalto non arrivavano le stagioni a cambiare il paesaggio, ma le storie raccontate spingevano i giorni come sopra le stagioni muovono il tempo. E l'immaginazione cambiava forme e colori.
Ma le parole non si erano più posate sull'Alibro per raccontarle delle storie.
E Lily era morta.
Chi di voi vuol parlare ad un fantasma?